Network Nazionale Biodiversità: due importanti mancanze di ISPRA

Come sicuramente avrete saputo, ieri 24 Ottobre 2023, all’Orto Botanico di Roma si è tenuto un importante convegno, organizzato da ISPRA, che è stato organizzato per fare il punto sugli importanti finanziamenti del PNRR assegnati al MASE (e ad ISPRA) e finalizzati alla biodiversità: una cifra che supera gli 80 milioni di euro e che si va ad aggiungere ai fondi dedicati alla creazione ed al funzionamento del Centro Nazionale Biodiversità (NBFC).



Riporto qui di seguito la presentazione che compare sul manifesto del convegno

” Promuovere la diffusione delle conoscenze sulla biodiversità tramite piattaforme web e sistemi informativi è uno degli impegni assunti nell’ambito della “Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030”, il documento strategico nazionale volto a garantire la conservazione e l’utilizzazione durevole della diversità biologica in Italia. Dalla sua implementazione ad oggi, il Network Nazionale della Biodiversità (NNB), l’infrastruttura tecnica gestita da ISPRA per conto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), secondo moderni parametri di condivisione e visualizzazione dei dati, permette di rendere accessibili i contenuti delle banche dati fornite dagli enti deputati al monitoraggio della biodiversità e rappresenta un valido strumento per la condivisione di conoscenze sul tema. L’incontro è finalizzato alla presentazione di NNB quale strumento in grado di facilitare la realizzazione di flussi di raccolta dati nel rispetto dei principali standard internazionali di interoperabilità tecnologica e semantica e di accessibilità e riuso. Saranno presentati casi d’uso di NNB a supporto di attività istituzionali, di progetti internazionali e nazionali e di iniziative di Citizen science.
Sarà affrontato il tema del coinvolgimento dei cittadini e saranno esposte esperienze maturate nell’ambito di percorsi di educazione e formazione ambientale “


qui è possibile scaricare il programma completo del convegno https://www.nnb.isprambiente.it/it/file/programma_191023-1.pdf/@@download/file


Dispiace dover constatare che nel programma della giornata non è stato previsto, purtroppo, nessun momento di discussione che, vista la molteplicità di argomenti assolutamente interessanti e di assoluta attualità avrebbero innescato certamente almeno una serie di domande e di richieste di chiarificazione. Non avendo potuto farlo durante il congresso lo farò da questo Blog chiedendo cortesemente una replica dagli organizzatori o dai relatori.

Considerato, quindi, che il convegno è stato una informativa alla nostra comunità mi sia quindi consentito di fare due considerazioni a mio parere non secondarie.


Prima considerazione – Dov’è finita la tassonomia?

Il Network Nazionale della Biodiversità gestisce dati sulla biodiversità, mi pare del tutto ovvio. Per tutta la durata del convegno, i “dati” l’hanno fatta da padrone, produzione di dati, raccolta dei dati, gestione, condivisione, uso, interoperabilità dei dati fino alle varie forme di comunicazione alla popolazione. Ora, tutti questi dati sono riferiti primariamente alle popolazioni, alle specie e/o ai taxa di vario livello gerarchico. E chi identifica questi esseri viventi ai quali i dati devono essere riferiti con assoluta precisione? Chi dà loro un nome?, chi li distingue da specie simili, chi li classifica? Non mi sembra buona cosa che in tutta la giornata di comunicazioni di ISPRA e Ministero non sia stata neanche pronunciata la parola “tassonomia“. C’è da non crederci. ISPRA e Ministero ci informano su come utilizzeranno oltre 80 milioni di euro per la biodiversità senza dedicare una pur minima attenzione al gravosissimo problema della carenza di tassonomi in Italia? quelli che devono fornire i dati più basilari in assoluto. La biodiversità non è fatta di lupo, orso, balena o lontra ma di oltre 50.000 specie diverse in italia solo per la zoologia, …. e la botanica? e i microsganismi? Investimenti importanti su tecniche avanzatissime di ricerca (e meno male che ci sono!) non possono, anzi non devono prescindere dai ricercatori tassonomi. ISPRA. come anche il NBFC deve avere l’obbligo di operare per la creazione di competenze e professionalità tassonomiche assolutamente basilari e fondamentali senza le quali tutto il castello di ricerca, anche la più seria e sofiticata crolla. La ricerca tassonomica e sistematica è il primo e fondamentale livello di conoscenza della biodiversità nazionale, quel livello “alfa” della ricerca sulla biodiversità che costituisce il suo alfabeto, il suo vocabolario, il suo punto di partenza.
In oltre 250 anni i tassonomi hanno identificato e dato un nome ad oltre un milione e settecentomila specie diverse e le stime più recenti ci dicono quanto lavoro ci sia ancora da fare visto che le specie che abitano oggi il pianeta sono da aumentare almeno di un fattore 5.

È un inoppugnabile dato di fatto che in campo accademico come anche in quello istituzionale, la ricerca tassonomica in Italia sia stata sempre la cenerentola della ricerca scientifica ed è molto spesso prerogativa della ricerca condotta nei musei di storia naturale. Qualsiasi ricercatore di queste difficili discipline ha sempre dovuto sperimentare sulla propria pelle lo scarsissimo riconoscimento attribuito al suo lavoro per la sua carriera accademica e la cronica carenza di finanziamenti per queste discipline di base, anche in tempi di florida economia.
Ci si aspettava quindi che alla luce di quanto si è andato strutturando nell’ultimo ventennio nei paesi più lungimiranti ed all’avanguardia nella ricerca sulla biodiversità, la politica e la ricerca italiana si adeguasse riconoscendo la
basilare necessità di dotarsi di una nuova e solida compagine di ricercatori specializzati nel campo della tassonomia biologica, indirizzando in modo congruente anche le strategie dei Ministeri del CNR e degli enti preposti alla ricerca scientifica nazionale. E io, come tanti miei colleghi, mi aspettavo che ISPRA, proprio grazie ai nuovi e importanti finanziamenti del PNRR fosse l’ente di elezione per contribuire ad azzerare quel dannatissimo “impedimento tassonomico” ormai messo in luce ed evidenziato in tanti stati d’Europa e del Mondo.


Seconda considerazione – ….. e i musei scientifici?

Si è parlato nel convegno della comunicazione sul NNB e sulle strategie che ISPRA e MITE stanno mettendo in piedi per comunicare le ricerche sul NNB e sulla Strategia Nazionale della Biodiversità. Grande enfasi alla Citizen Science che è proprio a cavallo tra comunicazione e ricerca attiva, ma cè dell’altro che si può e si deve fare. ISPRA e MITE devono far propria l’idea che è l’enorme deficit di cultura naturalistica di base che impedisce a noi cittadini e ai nostri governanti, di rendersi conto di come si sia giunti al drammatico livello attuale di crisi ambientale. Sappiamo poco di come si è evoluta la vita, di come si sono originati e come funzionano gli ecosistemi e quale sia il posto dell’uomo nella natura.(Peraltro proprio ieri, ironia della sorte, all’ingresso dell’Orto Botanico operavano due graziose fanciulle che intercettavano tutisti e visitatori distribuendo volantini di puro creazionismo pubblicizzando ancora l’”intelligent design”). La gente fa fatica a capire come l’uomo sia diventato la nuova forza selettiva sulla Terra che condiziona con le sue azioni questa nuova era geologica che, non a caso, è stata chiamata “Antropocene”. Ed è proprio qui che i musei naturalistici italiani intervengono e mostrano tutte le loro potenzialità di alta comunicazione. ISPRA e MITE certamente sanno che sul territorio nazionale esistono, centinaia di strutture museali naturalistiche che hanno istituzionalmente lo scopo si di raccogliere e conservare materiali e dati biologici, di condurre ricerca scientifica sulla biodiversità, ma soprattutto di comunicare i fatti della natura e i grandi temi della scienza. Questi musei di storia naturale da sempre si aprono alla società con modalità e linguaggi diversificati per ogni tipo di utenza. La rete nazionale dei musei scientifici è certamente pronta a incrementare la propria attività operando in sinergia anche con ISPRA per far conoscere sia la nuova versione della Strategia Nazionale Biodiversità del MITE, sia lo stesso NNB. Ed è proprio con questa attività quotidiana e diffusa di capillare comunicazione che una collaborazione tra ISPRA, MITE e Musei Naturalistici potrà dimostrarsi cruciale per una adatta comunicazione e per il futuro della nostra società. 

Spiace anche qui notare che anche i termini “Museo” e “collezioni museali” sono stati totalmente assenti in tutte le comunicazioni del convegno ed in particolare in quelle sulla comunicazione. Non mi pare affatto una buona cosa.

Solo per la cronaca ricordo qui che l’allora Ministero dell’Ambiente e lo stesso ISPRA hanno avuto in passato con l’Associazione Nazionale Musei Scientifici (ANMS) relazioni regolamentate da due appositi protocolli d’intesa.


E per finire qui il video dell’intera giornata di lavoro


Assolutamente grato se i colleghi di ISPRA e del MITE volessero rispondere qui di seguito a questo mio “cahier de doleance”. Invito anche il pubblico in presenza e in remoto a usare questa pagina del mio blog per attivare la discussione che è mancata all’Orto Botanico.


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5 risposte a “Network Nazionale Biodiversità: due importanti mancanze di ISPRA”

  1. Avatar FRANCO ANDREONE

    DUE DOMANDE A CUI RISPONDERE…

    Ho letto con attenzione il rapporto e le opinioni di Vincenzo. Purtroppo, io non ho potuto andare al convegno/incontro ISPRA, il quale non è stato a mio avviso neanche molto pubblicizzato. Ora, concordo con quanto dice Vincenzo: totale assenza di riferimento a musei di storia naturale e alla tassonomia, due parole chiave che invece ritornano molto in contributi di naturalisti stranieri, come Quentin Wheeler (https://podcasts.apple.com/us/podcast/species-hall-of-fame/id1629052764). In realtà si tratta evidentemente di due facce della stessa medaglia, onde per cui tale assenza non credo che sia stato un caso. Negli ultimi anni (decenni) abbiamo assistito alla riesumazione di quella che una volta si chiamava “zoologia sistematica” (limito qui le mie considerazioni alla zoologia, ma lo stesso vale anche per la botanica). Che era stata quasi “killata” al passaggio fra XIX e XX secolo e nella prima metà di quest’ultima. Dava in effetti piuttosto fastidio all’università italiana avere naturalisti sfarfallatori al passaggio verso una biologia laboratorista. Per questo le collezioni dei musei, raccolte principalmente nei secoli precedenti, vennero gettate tutte (o quasi) nelle cantine e dimenticate. A volte distrutte. Quando sono state ripescate, il loro fine è stato sempre o quasi di tipo ostensivo e tutti si sono scordati che in molti casi erano state usate da grandi della biologia per studi comparativi, per descrivere nuove specie, per scoprire aspetti di storia naturale. Però si può dire che negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rinascita delle ricerche sulla biodiversità, con musei e istituzioni che hanno (ri)promosso raccolte sul campo e spedizioni. Soprattutto in hot-spot della biodiversità, dove le specie ancora pullulano. In Italia però questo non è mica tanto avvenuto: si è sempre ritenuto che le specie italiane fossero già ben conosciute, onde per cui non c’era interesse a riaprire il vaso della “pandora tassonomica” ed andare a raccogliere specimen: che questo compito venisse lasciato a pochi entomologi dilettante (che male non potevano fare). I musei di storia naturale ancora in vita hanno ripiegato su discorsi divulgativi e espositivi, più tollerati dalle università. Le attività di ricerca che erano loro proprie nel XIX secolo sono state di fatto (poco alla volta o repentinamente) abbandonate. Poco è stato fatto successivamente e ancora oggi ci sono pochi musei che si dedicano attivamente alla ricerca. Anche con il PNRR, evocato da Vincenzo, e con il National Biodiversity Future Center non è che le cose siano cambiate più di tanto. Non si parla di ricerche dei musei e ancor meno si parla di tassonomia. Cioè tutti a parlare di biodiversità, a scrivere (anche) dell’importanza dei musei ma nessuno che parla di collezioni naturalistiche e della necessità di promuovere nuove raccolte sistematiche. Giù solo a parlare di collezioni storiche, di cui compiacersi e a cui dedicare mostre e convegni. E a scrivere che la raccolta di voucher specimen è un’azione non solo denigratoria ma anche pericolosa per la sopravvivenza delle specie! Ma di attività nuova di esplorazione zoologica non si parla da nessuna parte! (facciamo in convegno allora?). Quale museo ha tra le sue attività ricerche sul campo? Credo di poter dire con una certa qual sicurezza “nessuno”. Cioè, ci sono ovviamente conservatori che – caparbiamente – insistono a voler far ricerca. Ma solitamente in modo “non istituzionale”, non coordinato e spesso a costo zero. Raramente (mai?) in campo tassonomico. Se le collezioni non vengono fatte e promosse è ovvio che anche la tassonomia langue. E di tassonomia non si parla in convegni come quello di ISPRA, che parla più neutralmente di “dati” e mai di esemplari. O, perlomeno, si preferisce ricondurla in un ambito universitario, dove in realtà poco conta. Nei convegni, come quello di ISPRA, si parla di biodiversità, di dati, immagino anche di digitalizzazione. Ma non c’è alla fine nessuno che parli di ricerca e di implementazione delle collezioni. Perché vorrebbe dire parlare dei musei di storia naturale come luoghi/istituzioni di ricerca, magari dar loro credito. E non credo che ci sia nessuno che lo voglia realmente. Però la raccolta sistematica e il campionamento sul campo sono attività che dovrebbero (devono) essere rilanciate al più presto. Ma dubito che lo verranno. Credo però che sia necessario che ci sia un risveglio di queste tematiche, ma dubito che le associazioni scientifiche e museologiche che dovrebbero garantirne la propulsione abbiano voglia di farlo: meglio declinare tutto verso digitalizzazioni di collezioni storiche, un buon modo di utilizzare fondi e di impegnare il tempo. Risponderà ISPRA a Vincenzo?

  2. Avatar NetworkNazionaleBiodiversità

    Gentile Vicenzo Vomero, NNB ringrazia dell’apertura dell’argomento sul suo blog e di avere portato l’attenzione su due aspetti molto importanti ai quali cerchiamo di rispondere. In primo luogo, ci teniamo a precisare che il taglio dell’evento voleva essere una panoramica generale sulle attività in essere e future (che saranno sviluppate anche con i progetti PNRR) alle quali l’infrastruttura è e sarà di supporto. L’insieme degli interventi non ha concesso lo spazio di discussione utile e necessario in questi casi, di questo ce ne scusiamo con chi avrebbe voluto intervenire. L’evento appena concluso non esclude l’organizzazione di altri momenti di confronto anche sull’altro aspetto da lei sollevato ossia della carenza di tassonomi in Italia, che include inevitabilmente un maggiore confronto con il mondo accademico. Cogliamo, infine, con piacere la possibilità di un contatto diretto da parte degli esponenti della rete nazionale dei musei scientifici per una proficua collaborazione alla quale auspichiamo. Per contatti nnb@isprambiente.it

  3. Avatar Gianluca Nardi
    Gianluca Nardi

    Condivido completamente quanto scritto dal Prof. Vomero. La situazione attuale è sconcertante/desolante…musei&tassonomi = binomio indispensabile per quantificare&tutelare la biodiversità! Il rispetto s.l. deriva solo dalla conoscenza…

  4. Avatar Giovanni Timossi
    Giovanni Timossi

    Che dire,
    Sono perfettamente d’accordo con Vincenzo.
    Di più… si enfatizza troppo la citizen science come innovativo metodo di raccolta dati. In realtà è solo un sistema di educazione alla conoscenza della biodiversità: le specie segnalate sono solo quelle facili da riconoscere, ma sicuramente è un ottimo modo per sensibilizzare e coinvolgere i cittadini. Poco effetto sulla conoscenza e conservazione della biodiversità

  5. Avatar Carlo Jacomini

    Grazie Vincenzo di aver saggiamente e garbatamente posto uno dei problemi che ponevamo da decenni. Nel nostro paese, meraviglioso anche per questo, la biodiversità è straripante. La fauna del suolo, argomento di cui mi occupo da una trentina d’anni circa, conta per molti gruppi una specie endemica su due, in alcuni casi anche meno (si arriva al 62% di endemismi), quando tassi di endemismo del 10-20% sono eccezionali nella maggior parte dei casi. Per questo, con il consenso di tutti e la collaborazione di quanti vorranno contribuire, sia da docenti sia da strutture come i musei scientifici, sto proponendo l’istituzione di una scuola di tassonomia e di ecologia della fauna del suolo, intitolata ad Antonio Berlese, padre fondatore della pedozoologia, oltre che eclettico e inventivo autore di infiniti sistemi di estrazione, analisi e rappresentazione della fauna del suolo. Il primo passo sarà (sempre che ce la approvino) una Summer School, che dovremmo organizzare per la seconda metà dell’anno prossimo, e da lì in poi il terreno sarà in discesa, per procurarci fondi e strutture dove portare studiosi e studenti a confrontarsi su questa vera foresta vergine della scienza, dove ancora dobbiamo scoprire moltissime specie, e formare una nuova generazione di tassonomi ed esperti che ci aiutino a capire le meraviglie della natura. I presupposti ci sono, il difetto che fai notare tu (“la tassonomia non è stata mai citata”) ha le gambe lunghe: addirittura nella nomenclatura della Commissione Europea, “tassonomia europea”, istituita con il Regolamento UE 2020/852, è stata uno dei primi sforzi per regolamentare i requisiti della rendicontazione non finanziaria, o meglio per classificare la sostenibilità delle attività umane. Perché usare un termine scientifico che già era desueto, per quanto necessario? Io non so e non voglio commentare questa scelta che trovo scellerata, tipica di un continente allo sbando. Ma resto a disposizione, con il mio modesto laboratorio di ecologia del suolo e del territorio in ISPRA, per cercare di tappare questa falla conoscitiva, e arginare l’erosione di cervelli, che negli ultimi decenni ha visto i nostri migliori studenti emigrare all’estero, dove trovano meno problemi e più soddisfazioni, nonostante abbiano assai meno stimoli naturali e meno sfide conoscitive. Speriamo di riuscirci, per noi e per le future generazioni di zoologi, che potranno solo accrescere le proprie conoscenze e le proprie esperienze in una palestra stimolante come la nostra bella Italia…

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