Dottorato Nazionale Biodiversità (NBFC)

Felicità, ma …. con tanto timore

https://bit.ly/44yAZkJ


Come scrivevo sotto il titolo “Felicità ma con tanto timore”

Finalmente il centro Nazionale Biodiversità ( formalmente National Biodiversity future Center – NBFC) inizia ad agire concretamente cercando, tra mille oggettive difficoltà amministrative e di coordinamento tra gli Spoke, di operare per realizzare studi approfonditi sulla biodiversità con una volontà governativa e con finanziamenti mai visti fin’ora in Italia. Finalmente, ripeto, il Governo si è reso conto che, anche se tardi, era arrivato il momento di investire sul futuro a lungo termine della civiltà e dell’uomo, lavorando con concretezza sulla vita sul pianeta e su tutte le forze che la condizionano. Bisogna certamente riconoscere che non è tutta farina del sacco italiano perché quando i nostri governi nazionali hanno scritto le prime bozze del progetto italiano del PNRR, è stato Bruxelles che è intervenuto mettendo in evidenza quanto scarsa fosse l’attenzione dedicata nel progetto alla Biodiversità. Il governo Draghi ha recepito e capito il senso politico “a lunga scadenza” delle sollecitazioni europee (Next generation EU) ed ha agito di conseguenza dando vita al Centro Nazionale Biodiversità composto da sette Spoke dedicati due al Mare, due alla terra, due agli ambienti urbani e uno alla comunicazione a tutti i livelli. Nel progetto originario del CNB ci sforzammo in molti per fare in modo che buona parte dell’attenzione e delle risorse del centro fossero dedicate proprio al livello base della conoscenza sulla biodiversità, la tassonomia, senza la quale tutta la ricerca successiva, diventa problematica e spesso opinabile. Sull’onda lunga del concetto di Taxonomic Impediment, che si andava diffondendo su tutte le più importanti riviste biologiche mondiali, l’italia, miracolosamente si espresse inserendo nel progetto grande interesse per la tassonomia, per le collezioni conservate nei nostri musei naturalistici e per una forte cultura della natura, così come presentata, studiata e vissuta nei nostri musei di storia naturale piccoli e grandi.

Fu enorme quindi il mio compiacimento al congresso di presentazione formale delle attività del NBFC, tenuto proprio nella giornata della biodiversità (23 Maggio 2023, Tenuta presidenziale di Castelporziano e sede centrale del CNR), nell’ascoltare l’amico e collega Francesco Frati (responsabile dello spoke tre) dichiarare con sentitissima partecipazione, direi con una evidente emozione l’attivazione dei tanto attesi bandi di interesse nazionale per la tassonomia e la biodiversità (riporto qui sopra una sua slide). Francesco Frati, rettore a Siena, peraltro entomologo e tassonomo, anche a nome di Telmo Pievani, Maria Berica Rasotto (UniPD), Gianluca Sarà (UniPA), Stefano Cannicci (UniFI) e Massimo Labra (UniMIB), parlò esplicitamente e con grande convinzione della formazione di “una nuova generazione di tassonomi, figure professionali che stanno scomparendo in tutto il mondo” assolutamente necessari oggi per conoscere e fare ricerca sugli ecosistemi, Professionisti e ricercatori da anni così trascurati in Italia.

Finalmente azioni e parole sagge, quelle di Frati (e degli altri nostri colleghi del NBFC), da scienziato concreto che sa quello che dice, solido nella conoscenza dei fatti della vita e della sua evoluzione sulla terra! Meritate davvero un plauso tutti e sei.

E vediamoli allora nel dettaglio i curricula di questi dottorati nazionali.

  • Biodiversità italiana marina e soluzioni tecnologiche innovative;
  • Biodiversità terrestre, d’acqua dolce e soluzioni tecnologiche innovative;
  • Biodiversità urbana e soluzioni tecnologiche innovative;
  • Tradurre le prove scientifiche sulla biodiversità con consapevolezza sociale e valore economico;
  • Biodiversità e approccio one-health;
  • Biodiversità & innovazione: business, policy, logiche sistemiche ed economia rigenerativa.

E qui chiedo a voi sei proponenti del dottorato e a tutti gli interessati che ci leggono: dove è finita la tassonomia? Certo in tutti e sei i curricula compare il termine biodiversità, ma non facciamo scherzi, vi prego; “tassonomia” sappiamo benissimo che è alla base del concetto di biodiversità, che è l’alfabeto e il necessario vocabolario della biodiversità, ma sappiamo perfettamente che il termine contiene un range elevatissimo di approcci disciplinari e di ricerca estremamente differenziati, alcuni di base e altri applicati. Ripeto, non facciamo scherzi, non facciamo, cioè, che questi tanto sospirati dottorati nazionali vadano tutti a tutt’altro che alla tassonomia. Non possiamo permetterci di perdere questo treno. Occhi aperti, quindi.

Ecco qui di seguito i dati amministrativi del dottorato nazionale.

Dottorato di Interesse Nazionale in Biodiversity, – A.A. 2023/2024 – Ciclo XXXIX, con sede amministrativa presso l’Università degli Studi di Palermo. E’ bandito il relativo concorso per progetto, titoli e colloquio le cui modalità saranno stabilite dalla commissione. Dottorande e dottorandi affronteranno la complessa transizione da ecosistemi incontaminati a ecosistemi fortemente influenzati dal disturbo antropico, al fine di promuovere la conservazione e il monitoraggio della biodiversità.  (Così recita, testuale).

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Commenti

8 risposte a “Dottorato Nazionale Biodiversità (NBFC)”

  1. Avatar FRANCO ANDREONE

    Certo, pare un po’ inquietante il fatto che non ci sia la parola “tassonomia”, ma solo “biodiversità”. Ora, io amando profondamente la “biodiversità”, intesa come lascito concettuale del compianto E.O.Wilson, so anche che la tassonomia debba essere fondamentale. Era tanto arduo inserire in questi curricula il termine “tassonomia”? Sono anche un po’ perplesso nel leggere un po’ di volte il termine “economico/economia” (2 volte) e “tecnologico” (3 volte). Attendo quindi di avere risposte e indicazioni al riguardo. E di capire anche come i musei di storia naturale italiani e le annesse collezioni siano concretamente coinvolti in questi dottorati.

    1. Avatar STEFANO PIRAINO

      Nella Strategia Nazionale per la Biodiversità 2030 (https://www.mase.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/biodiversita/strategia_nazionale_biodiversita_2030.pdf) la parola tassonomia è declinata due volte: a pagina 28, si parla di Tassonomia degli Investimenti, mentre soltanto alla fine del documento, pagina 76 si legge finalmente che sarà necessario …”migliorare le conoscenze scientifiche su specie animali e vegetali, anche attraverso il recupero ed il potenziamento degli studi di tassonomia;”.. Da lì in poi, niente sul come, dove, quando si pensa di inquadrare questo auspicato recupero e potenziamento della tassonomia.

  2. Avatar Michele

    Pars destruens. Si era capito l’affermarsi di una progetto che avrebbe declinato le linee guida generali del Green Deal europeo in rapporto con azioni focalizzate sui diversi temi della biodiversità (come ben riportato), per i quali la tassonomia non era da intendere come oggetto di sviluppo ma come conoscenza preordinata e pretesa negli skill abilitanti le selezioni per le borse di studio. In altri termini: PNRR con finalità di sviluppo che nel nostro caso prevede la biodiversità nelle sue diverse declinazioni come ricerca orientata; le tassonomia come ricerca di base considerata come pre requisito di accesso.

    Tutto bene in teoria ma in pratica no perché, come ampiamente documentato, la formazione terziaria nel settore della tassonomia è debole (attendo vibrate proteste ma questo è quanto sembra osservare). Questo sul fronte dei formatori. Su quello dei partecipanti ai bandi, è probabile che la formazione tassonomica di base sarà debole, anche a fronte di intelligenti e preparate nuove leve.

    Rimane da interrogarsi sul grado di specializzazione nel settore tassonomico considerato che i dottorati andranno ad occuparsi di biodiversità declinata nei diversi contesti ecosistemi e quindi una specializzazione tassonomica tendenzialmente “orizzontale” e non “verticale” per ambienti e non per linee filetiche, (sopportate questo modo di esprimersi da parte di un ex geologo😉). Quindi, nel suo insieme di ragioni, un niet a percorsi di dottorato specificatamente tassonomici.

    Pars contruens. Riandare al concerto di CFU(crediti formativi universitari) che faranno parte del percorso formativo fondamentale in cui i temi della tassonomia saranno costruiti secondo le esigenze dello specifico percorso di dottorato che, come precisato, seguirà altre finalità.
    Il network universitario si troverà a valutare i diversi percorsi e proporre dei CFU finalizzati a completare la formazione per quanto riguarda specifico macro ambiti tassonomici. Tali CFU saranno inseriti nel percorso formativo del dottorato e valutati così come saranno valutate le pubblicazioni ed altro meritevole di essere rendicontato.

  3. Avatar Vincenzo

    Michele Lanzinger colpisce sempre nel segno, anche se la sua prosa, quasi da bocconiano, a volte non la comprendo totalmente; tutto, però, è imputabile alla mia incapacità, sia chiaro.
    la tassonomia, come ricerca di base, è sempre da considerare a monte di qualsiasi studio sulla biodiversità, e su questo non c’è proprio da discutere. Il mio problema è proprio questo, e cioè fare in modo che questi dottorati siano rivolti, con poche deroghe, proprio alla formazione di una nuova generazione di tassonomi, in modo tale che l’Italia possa vantarsi di aver tentato di diminuire il “taxonomic impediment” di cui parlavo nel mio post.
    Intendiamoci, in ogni caso 40 dottorati sono un’inezia se pensiamo che devono interfacciarsi con circa 2 milioni di specie già note e a tanti milioni di specie ancora da scoprire, da descrivere e da interpretare inserendole in un percorso filogenetico.
    Mi astengo, almeno io, da “vibrate proteste” sulla debolezza della formazione tassonomica “terziaria” sul fronte dei formatori e su quello dei discenti, solo perchè non capisco bene il concetto e mi scuso.
    Mi piace, invece, riprendere con forza aumentata, alcune parole di Michele.
    Questo è un non piccolo vulnus che traspare nei curricula di questi dottorati nazionali. Attenti a non confondere la tassonomia con l’identificazione delle specie “tout curt”. I curricula suddivisi in questo modo sono funzionali agli spoke del NBFC ma non alla tassonomia.
    La tassonomia “per habitat” e non “per linee filetiche” non è tassonomia.
    Ora, però, evitiamo di complicare ulteriormente il processo decisionale che ha portato a questo primo grande risultato di un bando nazionale di dottorati e facciamo in modo di ottenere il massimo risultato con questo; non solo, ma iniziamo già a ipotizzarne altri.
    Molto utile sarà poi approfondire anche tutta la seconda parte del commento di Michele, quella costruens, sulla quale saranno necessari interventi di educatori universitari, molto più preparati di me.

  4. Avatar Carla Marangoni
    Carla Marangoni

    Ricordo la formazione offerta a 5 gruppi di partecipanti ( tutti avevamo almeno una laurea magistrale o un dottorato) su 5 gruppi tassonomici nell’ambito del progetto CollMap. Si trattava di micro mammiferi italiani, alcune famiglie di piante vascolari e di insetti coleotteri.
    I corsi avevano una durata di una settimana e prevedevano una uscita sul campo.
    Credo che si dovrebbe fare tesoro di queste iniziative, riproponendole e adeguandole a livello universitario. Contestualmente però vanno create opportunità occupazionali per i laureati in queste discipline, magari proprio nei musei di storia naturale.

  5. Avatar Carlo Jacomini

    Caro Vincenzo,
    seguo tardi il tuo post, e mi spiace di non averlo letto prima in quest’estate di lavoro intenso. Sto cercando di proporre (tramite le società scientifiche, depositarie di antichi retaggi di professionalità sull’orlo dell’estinzione) quello che sognavo alla fine del mio dottorato, fatto assieme a Francesco Frati, a Siena, terra di biologi del suolo: fondare una scuola internazionale sulla tassonomia e l’ecologia della fauna del suolo. In Italia, quasi una specie animale su due che vive nel suolo è endemica: non c’è Europa che tenga, è il nostro patrimonio che rende tanto ricco il tesoro di “terroir” e Indicazioni Geografiche che arricchiscono la nostra gastronomia, enologia ecc. di tesori inestimabili. Frutto di armoniose coesitenze e coevoluzioni antiche tra batteri, funghi, piante e animali, di cui si sa ancora, purtroppo, molto poco. Il nome della scuola, pensavo di intitolarlo ad Antonio Berlese, colui grazie al quale la biologia del suolo è diventata pane per bimbi, grandi ed anziani, colui che ha descritto miriadi di specie, scritto volumi ancora imbattuti su organismi ormai quasi dimenticati, perché… secondo il mercato, di nessun valore! Ancor oggi, lamentiamo frane, alluvioni, erosione, incendi, siccità, desertificazione, calamità (in)naturali che ci costano miliardi ogni anno, dovute troppo spesso solo alla cattiva gestione del suolo, o del territorio, e che occorre sapere affrontare con armi e rimedi che spesso la natura ci ha donato dall’Ordoviciano, o giù di lì… fossili viventi che si sono adattati perfettamente ai meandri del suolo, alle diverse complessità dei nostri habitat, che si sono spalmati nel mondo già prima della divisione della Pangea in tutta la Terra, differenziandosi poi in milioni di specie, per la gran parte ancora da scoprire. E se i tassonomi in generale sono in via di estinzione, ormai, come tutti lamentiamo da tempo, figuriamoci quelli del suolo. Occorre riorganizzare le fila, rimettere i puntini sulle i, ridare un senso alle ricerche di valenti e intrepidi Don Chischiotte che hanno inseguito mulini a vento nelle pampas e nelle montagne, che hanno cercato i loro idoli e demoni in ogni parte del globo, e di cui spesso conosciamo meglio la fauna esotica di quella nazionale, per mancanza di fondi, stimoli, richiesta. La stessa tassonomia, a livello europeo ha cambiato significato , andando ad elencare solo le attività sostenibili e non gli artefici delle natural-based-solutions che potrebbero utilmente risolvere gran parte dei nostri problemi ambientali, se solo venissero lasciati liberi di farlo… e non venissero avvelenati, alluvionati, calpestati e sostituiti da rimedi artificiali quanto artificiosi, provvisori e non economicamente sostenibili. Ciò detto, mi taccio. Non prima di avervi lasciato però la mia email, per cercare di organizzare assieme a voi, al meglio, speriamo, quello che ho detto prima: carlo.jacomini@isprambiente.it

  6. Avatar Vincenzo Vomero

    Se una pur piccola percentuale di colleghi zoologi e botanici (et al) si esprimessero con l’ardore, la convinzione e la passione di Carlo Jacomini saremmo di certo dieci passi avanti nella conoscenza della biodiversità italiana. Grande maestro, Carlo, il tuo! E sta lavorando, con un bel gruppo di colleghi proprio in questo senso, mi pare. Diamo loro una mano.
    Io sono con te, incondizionatamente, non solo per i miei amati acari, ma per costruire qualcosa di fortemente necessario per lo sviluppo dell’Italia e del Pianeta.
    Diffondo la tua proposta capillarmente sperando che si attivi un dialogo serrato e costruttivo.

  7. Avatar STEFANO PIRAINO

    Caro Vincenzo, il bando di dottorato nazionale NBFC sulla biodiversità ha messo in campo 41 borse di studio, ma chi pensava che poteva essere la volta buona per lanciare una scuola di tassonomia, sistematica e filogenesi in Italia è rimasto deluso. Soltanto 3 tematiche su 41 riguardano la tassonomia. Manca ancora un piano nazionale di trasferimento delle conoscenze tassonomiche alle nuove generazioni, quello che 25 anni fa gli americani realizzarono con programma PEET (project for the enhancement of expertise in taxonomy). Sempre di più avanza la para-tassonomia pro-monitoraggio, non vengono offerte opportunità di carriera a chi vuol fare tassonomia (né tradizionale né morfo-molecolare), i progetti di tassonomia sono raramente finanziati (a meno che non si parli di metagenomica). E così anche le borse di dottorato, in quella che dovrebbe essere la Casa della Tassonomia (ossia il NBFC), sono frutto di poche coraggiose iniziative. Durante il census of Marine Life, i policheti del Canada sono stati inviati ad un ricercatore in Messico, perché in tutto il Nord-America non erano stati trovati esperti di Anellidi marini. Più rapidamente di quanto non si potesse immaginare, anche la biodiversità dei tassonomi sta riducendosi, per certi gruppi al limite dell’estinzione finale.

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